ANNI 90

I GRANDI CAMBIAMENTI DEL TIFO ORGANIZZATO

 

Negli anni Novanta il mondo ultrà è travolto da profondi cambiamenti e da una crisi di identità. Molti dei valori fondanti che stavano alla base dell'essere ultras negli anni passati sono sentiti in maniera diversa, più debole, dalle nuove generazioni.

 

Questo perché l'essere ultras diventa un fenomeno di "moda". Ma c'è anche l'altra faccia della medaglia, quella di un movimento ultras che, senza raggiungere ancora una piena unità d'intenti essendo invalicabili alcuni steccati di rivalità campanilistica e ideologia politica, si rende consapevole delle necessità di reagire per sopravvivere.

 

Dopo trent'anni di storia gli ultrà sono parte integrante del sistema calcistico, sono insostituibili e influenti, determinanti perfino nelle strategie societarie, nelle cacciata di allenatori o nell'acquisto di calciatori. I capi-ultrà, come Palummella a Napoli, diventano dei personaggi famosi, gli ultrà sono nel mirino, nel bene e nel male, coreografie da mille e notte, canti dello stadio ripresi da trasmissioni nazionalpopolari o nei cortei di propaganda elettorale. La seconda metà degli anni '90 è segnata fatalmente dall'uccisione del tifoso genoano Vincenzo Spagnolo nel gennaio del 1995.

 

Questo episodio devastante mette a repentaglio la vita stessa del movimento ultras, già profondamente colpito da un lento ricambio generazionale, dal frazionamento delle curve in tante piccole "schegge", acuito dallo scompiglio portato negli stadi dai "cani sciolti", cioè tifosi allo sbando, e dalla crisi di identità che si aggrava con lo scioglimento di alcuni grandi gruppi ultrà che fino a quel momento rappresentavano un punto di riferimento per le rispettive tifoserie che si trovano smarrite e disorientate.

 

Dal raduno ultrà di Genova, in occasione del quale i campionati di calcio si fermano, scaturisce un comunicato scarno e crudo, ispirato dagli ultrà bergamaschi e dalla loro mentalità ruvida e conservatrice, dal titolo "basta lame, basta infami". Una regola che avrebbe dovuto cambiare le "modalità" dello scontro tra i gruppi, ma che negli anni successivi saranno raramente osservate dalla nuova generazione, più sbandata e poco incline a sottostare a gerarchie e codici di comportamenti, anche etici, che si erano consolidati nei gruppi ultras sino agli inizi degli anni '90.

 

Comportamenti non codificati che avevano evitato conseguenze gravi in un mondo, quello del calcio, che sposta centinaia di persone e forti interessi economici. Un nuovo spaccato, più indecifrabile. La continuazione dei raduni ha tuttavia segnato una presa di coscienza del pericolo di una concreta estinzione, o quantomeno di un ridimensionamento, dipeso dall'inasprirsi della violenza negli stadi, dalla conflittualità con le forze dell'ordine, da innovazioni epocali come quella della pay-tv e da una serie di disposizioni restrittive (su tutte il provvedimento di interdizione dagli stadi, la diffida o il divieto di vendere biglietti ai botteghini per i tifosi in trasferta).

 

In precedenza alcuni gruppi storici come le Brigate Gialloblù del Verona e la Fossa dei Grifoni del Genoa si sono sciolti ("non ci rispecchiano più nelle nuove leve di ultrà" affermano quest'ultimi nel comunicato, una vera e propria rottura generazionale) innescando un periodo di appannamento che si è protratto fino a quest'ultimi anni che hanno visto lo scioglimento anche del CUCS e l'abdicazione dei Viking-Nab e l'assorbimento di tutti i gruppi della Sud di Torino operata dal gruppo dei "Fighters 1977 Black & White".

 

L'overdose del calcio, gli stravolgimenti dei calendari sempre più frammentati, gli anticipi e i posticipi, il declino dello strapotere di molti club che avevano proliferato a partire dagli anni '60 e il calo di presenze negli stadi (specie in trasferta), in gran parte dovuto agli effetti di risucchio e snaturamento provocati dalla tv criptata, cioè da un calcio d'elite e non più popolare hanno dato vita ad una strisciante e incisiva rivoluzione, le cui conseguenze sono ancora tutte da interpretare. Anche se i riflessi sono già evidenti, in prevalenza negativi per un fenomeno, quello ultrà, caratterizzato da un forte senso di militanza e identificazione. Il gruppo degli "ASR Ultras" diffonde sul proprio web un manifesto contro il "calcio moderno", riscontrando le adesioni di molti tifosi.

Le nuove generazioni calciofile sono "teledipendenti" e parecchie curve si sono date una struttura manageriale per stare al passo con i tempi, con la metamorfosi del gruppo ultrà d'azione come era nell'iconografia anni '70 ad una sorta di nuovo club (sede, materiale ultrà ricercato e curato seguendo i dettami modaioli, allargamento degli orizzonti al semplice tifoso) contravvenendo a molti di quei principi che sono stati per due decenni alla base della tanto sbandierata "mentalità ultras". Le coreografie su vasta scala, sempre più costose, sbalorditive, originali, diventato l'attrattiva di ogni partita-evento. Gli ultrà non possono deludere le aspettative che ruotano intorno ad un derby o ad un match di cartello, dove uno spettacolo scenografico della curva non può e non deve mancare mai.

 

Il fenomeno delle "megacoreografie", imitato nel resto dei paesi europei, per i quali il tifo italiano è un modello-scuola, dilaga e con sé ha annessa la diffusione di aziende e negozi specializzati sia nella produzione e vendita di materiale e oggettistica da stadio che nella fornitura di materiale coreografico. Scenografie sontuose, spettacolari e assai costose che nelle maggiori curve italiane hanno in parte soppiantato le coreografie incentrate su coriandoli e fumogeni degli anni precedenti. Ma negli anni '90 c'è stata un'altra importante inversione di tendenza per quanto riguarda soprattutto le mode da stadio e l'aspetto esteriore delle curve. Nel 1991, in seguito allo scioglimento delle Brigate Gialloblù di Verona, fautori di uno stile di tifo di stampo britannico, molte curve ripongono lo striscione, sostituendolo con tanti stendardi a "due aste".

 

Nasce una contrapposizione, per lo più a livello teorico, tra lo schieramento dei tradizionalisti, talvolta nazionalisti, fautori del modello classico all'italiana (i baresi espongono uno striscione "Stampo Italiano"), e i simpatizzanti del modello all'inglese, tutto battimani e stendardi. Gli ultrà romanisti prendendo in giro la curva laziale che aveva scelto questa linea estetica, risponde con un pungente "levate quegli stracci che s˜ asciutti". Adesso ma maggioranza segue un'impostazione "mista", una via di mezzo tra il modello italiano (organizzazione del gruppo, identità, coreografie permanenti) e il modello inglese (cori spontanei, stendardi, trasferte con il treno ordinario).

 

Sul piano delle relazioni tra gruppi ultras si registra una crisi dei gemellaggi. Molti rapporti di amicizia consolidati da tempo si incrinano fino ad arrivare a delle vere e proprie rotture. Una crisi, per˜ solo apparente, come confermato dal fatto che sono rimasti in piedi gemellaggi storici, come quello tra Genoa e Torino oppure Reggina e Bari. Del resto il ricambio avvenuto nelle curve ha indotto a preferire una relazione più flebile e autentica, senza mettere a repentaglio il gemellaggio per colpa di gesti sconsiderati di tifosi isolati.

 

Contro la repressione e il controverso tema delle diffide (oltre 1700 i tifosi diffidati) gli ultras si fanno sentire, attraverso le fanzine, giornalini autoprodotti con un taglio anticonformista che si diffondono in tutte le curve, e anche internet (ormai centinaia di gruppi, piccoli e grandi, hanno la loro pagina web con la quale si raccontano e informano gli iscritti, senza filtri esterni). Non c'è ancora un "fronte comune" contro le problematiche, ma ci sono segnali di unità da parte del più longevo dei movimenti di aggregazione giovanile (oltre trent'anni). Una tribù che vanta centinaia di seguaci, alla ricerca di una "via alternativa" per sopravvivere ai cambiamenti del nuovo millennio.