ANNI '80  

In questo decennio assistiamo a un progressivo e costante ingrandimento dei gruppi ultrà, le cui file sono ormai composte non più da decine, ma da centinaia - e in alcuni casi anche migliaia - di aderenti. Dal Nord e dal Centro Italia il fenomeno si sposta anche nel meridione, mentre in altre città i gruppi già esistenti si rafforzano ulteriormente.

 

Il tifo ultrà arriva anche nelle categorie minori, ed entro la fine del decennio non c'è squadra, dalla serie A alla C/2, che non venga seguita da più o meno numerose frange giovanili organizzate. Questo moltiplicarsi dei gruppi porta, quasi necessariamente, alla nascita di una complessa rete di amicizie e di rivalità.

 

Fra le coalizioni più solide di questo periodo, ricordiamo Roma-Atalanta-Juventus, Sampdoria-Fiorentina-Inter, Lazio-Bari-Torino, Milan-Genoa-Bologna, ed è curioso notare come oggi questi rapporti, un tempo cordiali, si siano in gran parte deteriorati e siano stati sostituiti da altre alleanze, trasformandosi talora in feroci rivalità. In alcuni casi, peraltro piuttosto rari, si è anche verificato il contrario.

 

Oggi, infatti, per fare un esempio si registrano buoni rapporti fra gli ultrà di Verona e quelli dell'Inter. In ogni caso, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta si assiste a un deciso incremento degli incidenti tra ultrà contrapposti lontano dagli stadi: vengono investiti, come nel modello inglese, i centri delle cittadine, le stazioni e le vetture ferroviarie, i percorsi della metropolitana.

 

Il 1982 passa alla storia per il trionfo italiano ai campionati mondiali di calcio disputati in Spagna. La finale si gioca contro la Germania Ovest, a Madrid, davanti a oltre 100 mila spettatori, in larghissima maggioranza italiani. Numerosi sono gli striscioni dei gruppi ultrà, ma questo rimane l'unico vero momento aggregativo a livello nazionale, un caso pressoché unico in Europa se si considera quanto caratterizza le scene britanniche, tedesche e olandesi. Le ragioni di questa divisione insanabile tra gli ultrà italiani, che non riesce a ricomporsi nel tifo per la nazionale, sono probabilmente da ricercarsi nelle rivalità campanilistiche radicate fra alcune nostre città.

 

L'immagine degli ultrà italiani si propone come modello continentale, dando il via a un movimento che toccherà l'Europa intera. Gli ultrà latini, pur ammettendo le influenze inglesi, si considerano superiori agli hooligans nordici sia nel tifo che nella "forza d'urto". Negli anni Ottanta le squadre godono poi di un seguito assai più ampio e costante rispetto al passato.

 

La trasferta diviene un momento fondamentale nella vita di un ultrà, a cui partecipano solo i tifosi più fedeli e incuranti del pericolo che essa può comportare. Andare in trasferta diviene un modo per selezionare il gruppo e scoprire quanto ognuno si senta attaccato ai suoi compagni. Presentarsi in alcuni stadi "caldi" è un'esclusiva di pochi; farlo senza portare il proprio striscione è considerato un disonore, un sintomo di timore, cos" come rubare le insegne dei tifosi ospiti rappresenta la vittoria suprema per il gruppo che difende il proprio territorio.

 

L'aumento del pubblico in trasferta corrisponde a un notevole sforzo organizzativo per le Ferrovie dello Stato, che destinano convogli straordinari agli sportivi per non intasare ogni domenica i già affollati treni di linea. Sono i cosiddetti "treni speciali" che "meglio di chiunque altro possono dire di aver vissuto in prima persona la storia del movimento ultrà in Italia [...] come quello che portò a Genova i tifosi del Pisa, nel 1982.

 

Gli spettacoli organizzati dagli ultrà coinvolgono intere gradinate, migliaia di persone. Acquistare migliaia di palloncini o di pon-pon colorati costa milioni, ma la gara dell'originalità è accesissima. Mentre gli ultrà sampdoriani allestiscono una bandiera di 90 metri per 32, quelli della Roma distribuiscono al pubblico 10 mila cartoncini gialli e rossi; i tifosi del Torino coprono la curva Maratona di strisce di stoffa bianche e granata, e quelli del Napoli lanciano in campo migliaia di rotoli di carta igienica.

 

Gli introiti provenienti dalla vendita di adesivi e magliette non bastano più, per cui alcuni gruppi chiedono aiuto alle loro società calcistiche, sebbene nessuno lo ammetta apertamente. Altri ricorrono a degli sponsor esterni (il bandierone delle Brigate Gialloblu di Verona porta il nome della Canon, quello dei Boys interisti reclamizza le borse Cattel, ecc.). Di pari passo con le note di colore, anche la cronaca nera deve occuparsi di quanto accade negli stadi.

 

Si diffonde l'uso delle armi da taglio, soprattutto a Milano e a Roma, mentre gli ultrà atalantini diventano famosi per essere sì molto turbolenti, ma pronti a usare solo pugni e calci. I disordini si moltiplicano anche nei piccoli centri, dove le rivalità nascono spesso solo per emulare i gruppi più famosi e guadagnare considerazione. Nel febbraio '84, la partita di Coppa Italia fra Triestina e Udinese si conclude con gravi scontri; un giovane triestino, Stefano Furlan, viene ripetutamente colpito al capo dalle manganellate degli agenti, entrando in coma e morendo il giorno successivo. Otto mesi più tardi, al termine di Milan-Cremonese, viene accoltellato a morte Marco Fonghessi. L'assassino, Giovanni Centrone, è poco più che maggiorenne.

 

Il collegamento fra ultrà e politica sembra invece, nei primi anni Ottanta, affievolirsi. Il riflusso nel privato che pervade le fasce giovanili tende a manifestarsi anche negli stadi. I gemellaggi fra tifoserie orientate in senso opposto (Fiorentina-Verona, Udinese-Bologna, ecc.) testimoniano ulteriormente quanto le amicizie fra ultrà siano ormai assolutamente indipendenti da fattori politici. In questo periodo, piuttosto, si segnala un aumento nell'uso delle sostanze stupefacenti dentro gli stadi. Mentre i tossicomani abituali, frequenti negli anni Settanta, spariscono dalle curve a causa delle perquisizioni sempre più severe, i fumatori di cannabis si moltiplicano in numero impressionante.

 

La stessa simbologia ultrà viene radicalmente trasformata e le immagini della foglia di marijuana o il bambulé compaiono su decine e decine di striscioni. Quando a Cosenza nascono i Nuclei Sconvolti, il loro nome riscuote un incredibile successo in tutta Italia e molti altri gruppi lo adottano.

 

A metà degli anni Ottanta il movimento ultrà italiano può dirsi dunque sulla cresta dell'onda. I gruppi contano su moltissimi aderenti (la Fossa dei Leoni del Milan, ad esempio, registrerà nella stagione 1987-88 quindicimila iscritti), hanno rapporti più o meno stabili con le società sportive, ognuno di essi è strutturato secondo scale gerarchiche e organizzative e dalle curve scompaiono i club dei semplici spettatori.

 

Alcuni gruppi, come il Commando Ultrà Curva B di Napoli, hanno un'impostazione su canoni manageriali (soci archiviati in una banca-dati, una rivista organica al gruppo, un tv e un leader, Gennaro Montuori "Palummella", con agganci politici importanti e in odor di entrare nella dirigenza partenopea, al punto da far coniare l'espressione "professione ultrà". Diversi gruppi ultrà entrano poi in conflitto con quegli enti - centri di coordinamento, o federazioni dei club - accusati di vivere alle spalle delle società calcistiche senza dare un sostegno attivo al tifo. Per sfottere, sbeffeggiare e innervosire, perfino umiliare il nemico, si inventano slogan, striscioni ironici e invettivi, cori offensivi.

La gamma è infinita e molti suscitano ilarità. Un esempio? Como-Fiorentina, i tifosi fiorentini espongono lo striscione "Voi comaschi noi con le femmine".